Quando si chiede a Santiago Paz, direttore di Norandino, in Perù come e quando la cooperativa ha pensato di investire nella produzione della canna da zucchero, i suoi ricordi vanno a quel periodo in cui, anche solo fino a pochi decenni fa, quel prodotto era povero e marginale come i contadini che lo coltivavano: “Lo zucchero di canna veniva utilizzato per produrre l’alcol, la cachaca, un distillato derivato dalla canna. Erano i contadini più marginalizzati, quelli che avevano piccolissimi appezzamenti, di meno di un ettaro, che lo coltivavano. Famiglie senza istruzione messe in ginocchio dalla piaga dell’alcolismo, della violenza, della povertà estrema”. Dalla canna si ricavava un prodotto ancora utilizzato per dolcificare, una specie di mattonella che poi le famiglie più povere delle periferie urbane tagliavano in piccoli blocchi. Ma quando la richiesta è diminuita per far posto alla produzione industriale di massa della birra, anche questo misero sbocco di mercato si è chiuso. “Nessuno ci credeva quando la cooperativa ha deciso di investire nella produzione della panela, lo zucchero di canna integrale. La trasformazione della canna era ancora a livello molto artigianale, con processi che si tramandavano di generazione in generazione da 100 anni. Abbiamo dovuto lavorare molto affinché i contadini capissero che era necessario dotarsi di macchinari e credessero che da quel prodotto poteva derivare un vero benessere per le loro famiglie”.
Siamo nella regione di Piura, sul versante della sierra, quello più povero. La costa, più prospera, è il centro economico della regione. La sua capitale, che prende il nome dalla stessa regione, è sede universitaria e lì Santiago, 30 anni fa, è andato a studiare agraria, già a quegli anni con un chiodo fisso: fare qualcosa per la sua gente, la gente delle montagne. “L’ultimo anno dei miei studi è stato decisivo: con alcuni compagni abbiamo concepito l’idea di creare una realtà che commercializzasse il prodotto su cui si fondava l’economia della mia terra d’origine, il caffè”.
Nel 1990 ha fondato una organizzazione non governativa, Progreso, che è diventata Central Piurana de cafetaleros e poi Norandino. Fin dai primi anni di vita della cooperativa, entrare nel circuito del commercio equo con la certificazione Fairtrade è stato fondamentale: “Era l’unica realtà che ci consentiva di vendere poco prodotto per volta. E ha accompagnato la nostra crescita e il nostro sviluppo, credendoci”. E il commercio equo ha creduto anche nella scommessa della panela, nel 2003. Norandino ha trovato anche un’azienda, Alce Nero in Italia, che per prima ha investito in questo progetto. “Era impensabile allora che questo prodotto avesse un valore: lo stato di povertà dei produttori, la loro assoluta mancanza di istruzione, una situazione sociale difficile. Tutti fattori che remavano contro”.
La cooperativa ha fornito alle comunità dei produttori gli strumenti per lavorare meglio la canna, per farne un prodotto di qualità: il mulino (un estrattore delle canne che ne restituisce un succo), il forno (dove il succo viene messo a bollire), le vasche dove viene mescolato il prodotto, fino a trasformarsi nello zucchero granulare ormai noto in tutto il mondo. E tanta formazione, per ottenere un prodotto di alta qualità, remunerato bene. “Quello che rende la nostra panela così speciale e apprezzata è la caratteristica del nostro territorio e della nostra terra, dove si coltiva tra i 1200 e i 2000 metri di altitudine. E poi il sistema di raccolta dove le canne vengono tagliate una ad una”.
Il “miracolo” (come lo definisce Santiago) della panela ha dato i suoi frutti: oggi la panela di Norandino viene pagata ai contadini 6 volte tanto lo zucchero convenzionale e ha portato dignità e orgoglio, oltre a risorse economiche, alle famiglie che la coltivano: la possibilità di far studiare i loro figli, di nutrirsi in modo adeguato, di pianificare il loro futuro. “Il nostro zucchero è considerato ormai un alimento perché povero di saccarosio e ricco di sostanze minerali. Per questo viene riconosciuto un valore economico più alto che si traduce per noi in valore sociale e umano”.
