Forse è successo anche a te durante il lockdown, ti hanno obbligato a fermarti e proprio in quel momento ti sei chiesta: “Perché corro sempre così tanto?”.
Mai, prima di allora, avevamo riflettuto tutti e così tanto intorno allo stare fermi, al mettere in pausa e a non avere l’ansia di correre ovunque. E se la quiete e la corsa, metaforica ma anche fisica, fossero i due lati della stessa medaglia?
Uno stile di vita
Io amo fare attività fisica senza mai esagerare, ogni giorno: amo essere attiva e per molto tempo ho corso tanto, poi ho avuto problemi di schiena e sono stata costretta a fermarmi e poi ho ripreso un po’ ma spesso la schiena urlava vendetta. Nel frattempo ho scoperto le gioie del camminare, veloce o lento che sia, come movimento che mi attiva mente, corpo ma anche occhi. Quando corri sei più concentrata sulla performance e percorri velocemente alcuni chilometri, mentre camminando hai tempo per guardarti intorno e esercitare l’osservazione.
Prima del lockdown, mi sentivo in colpa però: avevo deciso che mi sarei rimessa a correre, che avrei ritrovato le energie fisiche e mentali per ricominciare l’allenamento che serve e che avrei sistemato i problemi di schiena in modo da poter riprendere l’attività fisica più sfidante: perché diciamolo, molti di noi hanno bisogno di sapere che stanno facendo la massima fatica per sentirsi a posto e io ero una di quelle!
Il lockdown mi ha obbligata alla quiete ma anche a non sentirmi in colpa perché non potevo muovermi: mi sono comprata un macchinario per fare step in casa e ogni tanto mi tenevo in movimento con quello.
Ho imparato così a cercare il buono anche nel fermarsi, nel ridurre la mia attività e ho riflettuto molto sul doverismo che – troppo spesso – esercito sulla mia vita.
Perché il fatto che mi obbligassero a stare ferma mi sollevava dai sensi di colpa?
Ma soprattutto: perché se sto ferma mi sento in colpa?
La quiete: cosa ho imparato
A volte fermarsi è necessario e molto utile e dovremmo accoglierlo anche noi, doveristi del movimento, delle sfide personali e professionali!
- La quiete ci impone di accogliere anche la possibilità di non raggiungere un obiettivo programmato.
- La quiete ci mette a nudo: ci vediamo come persone che hanno limiti e risorse che variano nel tempo e secondo i momenti di vita.
- La quiete ci serve per amare di più il movimento: se ci muoviamo sempre, non abbiamo il tempo per godere dei benefici dell’attività fisica, mentale e professionale.
Quiete e sensi di colpa: e perché mai?
Ho passato un’estate di quiete: avevo in programma molti progetti professionali e legati alla scrittura, in questo 2020, qualcuno è saltato per cause di forza maggiore, altri perché HO SCELTO io.
Avevo bisogno di metabolizzare, di fermarmi, di trovare il mio nuovo paradigma umano e professionale. Eppure non è stato facile comunicare a persone con cui avevo già preso accordi: “Non ce la faccio, preferisco sospendere questa cosa”. Mi fa sempre sentire che non ho raggiunto quello che mi ero prefissata e mi sento mancante. Ho lavorato tanto per esercitare un punto di vista diverso e oggi sono contenta di avere messo in stand by alcune cose: mi sono data il tempo per ri-conoscermi e quest’anno, più che mai, ne abbiamo tutti bisogno.
Se, come me, anche tu sei una persona sempre in movimento, ti invito a fare una bella lista di tutto quello che fai e a chiederti, per ogni cosa, se non ti serve fermarti un po’ per godertela ancora di più: che si tratti dell’idea di correre la mezza maratona o di ottenere un nuovo lavoro per aumentare il tuo reddito, anche la sosta è necessaria al viaggio e ti permette di guardare con attenzione a quello che stai facendo.
Buona quiete!